Essere ri-conosciuti: un bisogno prioritario per i bambini
Tutti noi che, a vario titolo, ci occupiamo di bambini e ragazzi, facciamo del nostro meglio per corrispondere alle loro esigenze e talvolta per assecondare i loro bisogni e desideri ancor prima che vengano espressi. Può accadere che non ci soffermiamo abbastanza su un bisogno che alcuni autori individuano come prioritario: il bisogno di essere riconosciuti. O meglio, di essere ri-conosciuti, cioè conosciuti daccapo, ogni volta, visti e presi in considerazione nella rispettiva unicità e accolti nel costante, perenne cambiamento che caratterizza l’età evolutiva.
Questo è un bisogno insopprimibile per i bambini e probabilmente il più importante e assieme il bisogno più difficile da esprimere per gli adolescenti.
Occorre curiosità e rispetto per far sentire l’altro riconosciuto
Per far sentire l’altro autenticamente riconosciuto, non basta usare le orecchie, e tantomeno flussi inarrestabili di parole; occorrono curiosità buona e rispetto. E intenzione, nel senso di interesse sincero e partecipe, inteso come sinonimo di condivisione.
Attenzione a mettersi nei panni dei figli!
In genere a questo punto entra in gioco il concetto di “empatia”, che per me ha un valore ambivalente: spesso infatti lo si traduce con la pretesa di “mettersi nei panni dell’altro” che penso sia un errore potenzialmente fatale.
Credo che pensare di poter sentire le emozioni dell’altro come se fossero nostre sia una modalità di approccio arrogante e inutile perché fuorviante. Il ragazzino o la ragazzina che cercano di comunicare un disagio, un’emozione a cui non sanno dare un contorno, una domanda che non trova risposta, non ha bisogno di un clone. Non è utile un adulto saccente che crede di condividere gli stessi stati d’animo semplicemente perché si ricorda di esserci già passato. Questo tipo di condivisione tende a schiacciare l’altro, il suo essere nuovo e il suo percepirsi giustamente unico, perché quelle emozioni le sta provando proprio lui, magari per la prima volta, e lo sta facendo a modo suo. Queste emozioni sono sue e di nessun altro.
L’ascolto attivo come strumento di relazione e comunicazione
Ciò che noi adulti possiamo offrire è una reazione empatica intesa come ascolto attivo, come vero riconoscimento dell’altro e di quello che sta provando.
Per realizzare questo tipo particolare di ascolto occorre trattare la narrazione che ci viene offerta per quello che è: un regalo prezioso e delicato da maneggiare con cura, da guardare con rispetto, consapevoli che si tratta di un dono importante, che implica la scelta di affidarsi a noi, di credere in noi. Non di credere che abbiamo tutte le risposte, ma che siamo capaci di ascoltare con tutto di noi stessi: occhi, orecchie, gesti, silenzi, sguardi. Il concetto di rispetto dell’altro marca quindi la differenza tra invadere e accogliere, risolvere e ascoltare, la parola vuota e il silenzio pieno, la fretta e l’attesa.
Comunicare con il silenzio
Comunicare con il silenzio
Il banco di prova per eccellenza della nostra capacità di ascolto è la gestione dei silenzi. Inutile ricordare quanto il silenzio in realtà comunichi un’infinità di significati: basti pensare a quante volte noi adulti lo utilizziamo consapevolmente per veicolare emozioni come il disappunto o la delusione.
Chi ha figli adolescenti sa quanto il silenzio rappresenti un terreno di mediazione ricco di opportunità, anche se complesso da gestire e talvolta da accettare. Davanti al silenzio ostentato di un ragazzo o di una ragazza è importante riconsiderare il concetto di “sacro” che sta dentro ognuno di noi: cioè quella parte solo nostra, interdetta all’accesso di chiunque, che deve essere rispettata dagli altri e conservata con cura da noi.
Per questo credo che il silenzio meriti rispetto e attenzione: è il luogo in cui la comunicazione tra due persone può proseguire e addirittura elevarsi attraverso canali che vanno oltre le parole, come gli sguardi o la semplice presenza fisica. È il tempo della sospensione e dell’attesa rispettosa dell’altro. È l’occasione in cui possiamo dimostrare ai “più piccoli” il nostro sincero interesse e dire loro, anche senza parlare, che possono fidarsi, che sappiamo aspettare ed accogliere tutto ciò che vogliono condividere con la mente aperta e pronti ad imparare a nostra volta.