Mi rendo conto che il titolo che ho scelto per questo articolo può sembrare un paradosso: per cos’altro si può studiare se non per crescere …?
Nella realtà spesso si studia per motivi che esulano dall’imparare per migliorare se stessi: si studia per levarsi dai piedi un obbligo sgradevole e ritenuto inutile, per non sentire le infinite lamentazioni quando all’ora di cena la mamma scopre che ci sono ancora tutti i compiti da fare, per non prendere una nota o un brutto voto e doversi sorbire di nuovo le lamentazioni di cui sopra, ecc. Insomma, ci sono un sacco di motivi che spingono i bambini e i ragazzi a studiare ma spesso non si colgono quelli più veri e significativi che hanno a che fare con la curiosità intellettuale, la spinta a crescere e a migliorare, la capacità di sfidarsi e mettersi in gioco, la responsabilità e la consapevolezza di sé.
Visti così, invece, i compiti a casa non possono che essere associati a un vissuto di noia insopportabile.
Premesso che ogni bambino e ogni ragazzo è un mondo a sé e che non è pensabile proporre una ricetta buona per tutti, illustrerò alcuni punti essenziali del mio metodo di lavoro, con la speranza che possano essere utili e con la preghiera di declinarli sulle specifiche esigenze e sugli stili di apprendimento individuali.
Il tempo
Il tempo dei compiti è sovente un tempo ‘sfilacciato’, un interminabile sostare sui libri che occupa gran parte del pomeriggio e talvolta della sera, con risultati incomprensibilmente scarsi. Per tentare di risolvere questo problema è importante focalizzarsi sulla gestione ottimale del tempo, che inizia col farsene carico.
È importante, prima di iniziare, concordare con il bambino un timing che tenga conto dei compiti, del tempo a disposizione e soprattutto del livello di attenzione che in quel pomeriggio ritiene con onestà di poter dedicare al loro svolgimento. È controproducente pretendere l’impossibile senza considerare lo stato d’animo e la predisposizione del bambino che invece, in questo modo, viene coinvolto in modo attivo e consapevole sulla programmazione del suo lavoro. Consiglio di scrivere il timing e di tenerlo sulla scrivania vicino a un orologio per consentire al bambino di monitorare l’andamento dell’attività e di modificare la programmazione in itinere (se non si riesce a rispettarla), ma sempre con un atteggiamento di consapevolezza attiva.
Di seguito inserisco l’esempio di una scheda di timing, il cui schema da utilizzare può essere scaricato nel link che trovate sotto all'immagine.
Con la stessa attenzione consiglio di gestire la pianificazione settimanale. Tale procedura può essere agevolata dalla consultazione puntuale del registro elettronico, che riporta la distribuzione dei compiti assegnati (tranne che per casi sporadici) con sufficiente anticipo per poter programmare le attività in modo soddisfacente. Una modalità efficace per realizzare una buona gestione del lavoro consiste nel pianificare il lavoro da svolgere a casa a partire dagli impegni del bambino.
Questo è il planning di una settimana tipo di un bambino di quarta elementare: io parto da questo schema, lo implemento con gli eventuali ulteriori impegni non ricorrenti e, con l’aiuto del registro elettronico, organizzo insieme al bambino la distribuzione dei compiti nei giorni della settimana, facendo attenzione alle interrogazioni e alle verifiche previste e indicate sul registro.
Nella corsa frenetica che caratterizza le nostre giornate è importante utilizzare uno strumento che aiuti a realizzare un’organizzazione ‘pensata’ della settimana inserendo lo svolgimento dei compiti a casa in modo sensato, sia per raggiungere risultati efficaci, sia per abbassare per quanto possibile il livello di stress che tutti ben conosciamo.
Lo spazio
La cura dello spazio in cui si svolgono i compiti è essenziale e a volte poco pensata, come se il buon esito del lavoro non dipendesse anche dal contesto in cui si realizza. Per la mia esperienza, è importante che si definisca un luogo preciso dedicato ai compiti, possibilmente tranquillo e lontano da fonti di distrazione (televisore, computer, fratelli, ecc.), in cui tutto il materiale necessario per il loro svolgimento rimane a disposizione e non deve essere preparato e poi riposto alla fine. Se un bambino non è motivato allo studio, la “fatica di arredare” ogni volta la scrivania può rappresentare un deterrente e un pretesto per continuare a procrastinare l’inizio dei compiti. Al contrario, il fatto di trovare tutto il necessario già pronto e a portata di mano di solito agevola la decisione di iniziare il lavoro.
Per molti bambini è infatti questo lo scoglio più ostico: decidere di cominciare a fare i compiti. Poi, una volta iniziato, in realtà portano a compimento il lavoro senza troppi problemi. È allora importante agevolare il più possibile il momento dell’avvio, come a sgombrare il campo da qualsiasi altro ostacolo che non sia la volontà di cominciare.
Inutile dire che una scrivania ordinata aiuta la concentrazione e insegna il rispetto per quello che si sta facendo e per dove lo si sta facendo.
Purtroppo le condizioni di fatto non sempre consentono la realizzazione pratica di quanto ho descritto e non sempre tutto questo risolve quello che per molti bambini e genitori è un vero problema da affrontare tutti i giorni. Ovviamente, come ho anticipato, ogni situazione è particolare e deve essere analizzata in modo puntuale per individuare soluzioni efficaci, tuttavia consiglio uno strumento proposto dal Dott. Gianluca Daffi, che prende il nome di Homework Station.
Si tratta di una sorta di piccolo paravento da costruire insieme al bambino a partire da un semplice foglio di cartone o comunque di un materiale che si possa piegare facilmente, a cui vanno applicate immagini e piccoli oggetti scelti dal bambino come particolarmente significativi e non distraenti.
La Homework Station deve essere collocata sul tavolo davanti al bambino, in modo che al suo interno rimanga solo il libro o il quaderno e il materiale strettamente necessario per svolgere il compito: si crea in questo modo una sorta di stanzetta raccolta e accogliente che in molti casi favorisce la concentrazione inibendo input esterni che possono distrarre dal compito.
I trucchi ‘scaccianoia’
Insieme ai bambini ho individuato nel tempo e denominato ‘Trucchi scaccianoia’ una serie di supporti per implementare l’uso dei libri di testo che spesso sono portatori di proposte anacronistiche rispetto ai linguaggi utilizzati dai bambini e dagli adolescenti.
Mi riferisco all’abitudine di integrare i compiti e le lezioni con linguaggi differenti, altri, non ovvi, a prima vista lontani dalle materie di studio. Soprattutto quando si affronta un argomento nuovo, consiglio di basarsi sul libro di testo o sugli appunti scolastici proposti dall’insegnante per poi approfondire l’argomento con connessioni diverse, magari facendosi condurre dalle suggestioni che inondano la rete. Qualunque argomento, non appena ci si stacca dalla lezione canonica, favorisce mille collegamenti tra cui è sempre possibile individuare un percorso attinente alle passioni del bambino, aiutandolo a comprendere e ad evitare la noia e il rifiuto conseguente dell’argomento o addirittura della materia in generale.
Sia le materie scientifiche che umanistiche riportano facilmente ai linguaggi dell’arte, della musica, della poesia. Non occorre volare sempre alto e pretendere di sollecitare l’attenzione del bambino attraverso un linguaggio per lui ancora più ostico: occorre scegliere suggestioni adatte a lui, alla sua età e ai suoi gusti alternando alto e basso, sofisticato e popolare, arie di opera e canzoncine, quadri, scene di film e di cartoni. Si tratta di pratiche molto semplici: per esempio, quando si studia storia, non c’è niente che aiuti la memoria come cercare in rete l’immagine del personaggio o degli avvenimenti di cui si sta leggendo; da lì si può partire, in ascolto del bambino e delle sue curiosità, per individuare un quadro che riporti allo stesso avvenimento, alla musica del tempo, a uno youtuber che si chiama allo stesso modo, a un tipo di scarpa che assomiglia a quella indossata dal personaggio, e via così. Non ci sono curiosità e collegamenti illeciti: tutto contribuisce a favorire un apprendimento efficace e soprattutto a bonificare il vissuto relativo ai compiti che in questo modo perdono un po’ del loro aspetto polveroso e diventano dapprima accettabili e poi, nella migliore delle ipotesi, divertenti. La rete è estremamente ricca di suggerimenti al riguardo attraverso video, tutorial, ecc.
Sono molto utili anche i giochi educativi e didattici, reperibili in gran numero per ogni età e materia, poiché affiancano il piano dell’apprendimento a quello ludico secondo la formula ‘imparare giocando’, che da sempre si dimostra vincente. La proposta editoriale in questo senso è davvero molto vasta e convincente, così come gli strumenti pubblicati in rete nei vari siti specializzati. Più di tutto, comunque, può fare la fantasia dei grandi, la memoria della propria infanzia e dei giochi magari non attuali ma sempre efficaci: basti pensare al fatto che noi abbiamo acquisito la maggior parte delle competenze in matematica attraverso il gioco prima di andare a scuola e che giocare a carte, a mondo, a tombola, a tutti i giochi da tavolo e di società ci ha permesso in modo naturale di apprendere i processi di quantificazione, di conteggio, di ordinamento e la capacità di rappresentazione del numero che tipicamente favorisce l’abilità di calcolo.
Questi sono solo alcuni spunti che spero possano agevolare lo svolgimento dei compiti quotidiani e soprattutto servire da suggestione per ulteriori soluzioni che i genitori possono trovare, forti della loro competenza e della conoscenza che hanno del bambino e del contesto. Sta a loro soprattutto veicolare i significati che i compiti possono rivestire, non tanto sul piano meramente didattico, quanto educativo. In altri termini, l’atteggiamento dei grandi rispetto a questo argomento è fondamentale per il vissuto del bambino, perché veda i compiti non come un obbligo vuoto ma come un’opportunità di crescita non solo culturale ma personale, relativamente ai valori di rispetto di sé e del proprio lavoro oltre che degli altri, di consapevolezza e senso di responsabilità, di autostima e fiducia in se stesso.